Barbara è la dolcezza fatta a persona e ho deciso prima di volerla intervistare e solo dopo ho scelto il motivo dell’intervista. Perché Barbara fa tante cose meravigliose e scegliere tra tutti i temi che poteva portare è stato difficile.
L’intervista di oggi è su “Il Gioco del Dipingere” di cui lei è servente a Vignola. Inutile dire che sono stata tra i frequentatori anche io in prima persona del suo Closlieu.
Vi lascio qui di seguito un approfondimento, i contatti e la video intervista integrale. Buona visione!
“Quando si ha a che fare con colori e pennelli, tutti pensano si abbia a che fare con l’arte. E se non si ha a che fare con l’arte, allora si suppone che l’attività, per essere un’attività degna di considerazione, sia una terapia… Ma dipingere nel Closlieu non ha a che fare né con l’arte né con la terapia, e mi preme dare alcune spiegazioni a proposito di questo.
Perché una traccia possa venire chiamata arte c’è bisogno di un interlocutore (pubblico) a cui si vuole trasmettere un messaggio, un concetto, un’idea, anche solo la ricerca del bello, e quindi è sottinteso che c’è un’intenzione. Che un bambino non ha! Un bambino sente una necessità e la esprime: è una necessità fisiologica, organica, che in un primo momento si manifesta attraverso tracciati che nulla vogliono rappresentare se non se stessi. E che poi si celeranno dietro l’intento di voler rappresentare qualcosa. D’altra parte un adulto può avere l’intenzione di trasmettere un messaggio; ma nel Closlieu, i disegni non possono essere portati all’esterno, né fotografati. E questo scoraggia ogni speculazione di tipo artistico per lasciar spazio ad una traccia di tipo diverso, una traccia che, proprio come nel bambino, si lega ad una necessità fisiologica. Ecco perché Arno Stern ha inventato un termine nuovo per riferirsi a questo tipo di traccia, che lui ha chiamato Formulazione. E che si differenzia dall’arte perché non contiene e non veicola nessun messaggio, in quanto non è rivolta ad un pubblico, ma esprime una memoria a cui razionalmente non abbiamo accesso, cioè la memoria della nostra evoluzione come embrioni, la memoria organica.
D’altra parte se il Gioco del Dipingere fosse una terapia, si partirebbe dal presupposto che le persone che frequentano il Closlieu hanno qualcosa che non va, o sono malate, e che ci debba essere un risultato ‘tangibile’. In primis nel Closlieu non ci sono categorie, non ci sono etichette: ci sono persone e tutto il mondo può frequentare il Closlieu. Inoltre in una terapia ci si aspetta un risultato; ma al fine della riconnessione con la spontaneità un’aspettativa non giova, ma grava sulla libertà di vivere il presente, cioè semplicemente dipingere. È questo ciò che porta la trasformazione!”
Grazie Barbara!
Potete contattare Barbara alla pagina Facebook della sua associazione Un Certain Regard o via email.
Ecco l’intervista integrale.

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